Un pezzo sulla propaganda e sulla “Massa” da leggere e riflettere
http://www.riflessioni.it/angolo_filosofico/la-massa-1.htm
« Uomini di scienza : Elogio di Gaspard Monge fatto da lui stesso Scritti Corsari di P.P. Pasolini »
Un pezzo sulla propaganda e sulla “Massa” da leggere e riflettere
http://www.riflessioni.it/angolo_filosofico/la-massa-1.htm
« Uomini di scienza : Elogio di Gaspard Monge fatto da lui stesso Scritti Corsari di P.P. Pasolini »
La nostra mente tende sempre alla ricerca del completamento dell’imperfetto, della risoluzione dell’irrisolto,non tollera il non comprendere a fondo ciò che la circonda, si sente inadeguata e quindi sofferente…e la sofferenza è una delle molle più potenti per indirizzare il comportamento umano.
Allora attinge al ricordo, come possibile creazione di punti fermi con cui orientarsi, ricorre a ciò che ha assimilato interfacciandosi col mondo esterno, tramite i mass-media oppure il contatto con altre persone, inteso come scambio di idee oppure di informazioni.
Questo processo, chiamato facilitazione, è, con tutta probabilità, la base fisica dei processi di apprendimento e memorizzazione: quando un’informazione è passata un gran numero di volte attraverso la medesima sequenza di sinapsi, le sinapsi stesse sono così “facilitate” che anche segnali o impulsi diversi, ma attinenti (per esempio il nome del fiore che ha un certo profumo) generano una trasmissione di impulsi nella stessa sequenza di sinapsi.
Quindi alcuni dati, appresi e metabolizzati___indipendentemente da dove arrivano ed a volte senza aver tenuto conto della loro veridicità___ vengono utilizzati per creare il “proprio mondo” reale.
Questa tecnica… quella cioè di creare volutamente,tramite i mezzi di comunicazione di massa, punti, (che sono di due tipi, i primi, che chiamo “traguardi” sono punti raggiungibili e quindi “amici” una sorta di polo positivo della coscienza, ed altri che chiamo “chimere” in quanto intangibili ed irreali che rappresentano il negativo, l’invariabilità, l’inadeguatezza.) di pseudo-bisogni ed aspettare che il completamento preconfezionato conceda alla “vittima” l’illusione di esservi arrivato per proprio conto e per propria capacità, … è quella alla base della pubblicità e della propaganda.
Questo sistema, perchè sortisca il suo effetto, cioè quello di portare la “vittima” dove si vuole deve evidentemente aver creato un sostrato florido di humus, in questo caso mediatico, una sorta di bombardamento di pseudo-informazioni e di deviazioni comportamentali tollerabili,( sono i momenti “storici” in cui si tenta , lentamente ma inesorabilmente, una nuova implementazione etica…) necessarie a creare una sorta di inadeguatezza, di “stupore allibito”, la sensazione cioè di non essere parte di questa società, così da creare nuovamente quel senso di incompletezza a cui si farà presa coi prossimi messaggi…che poi tutto ciò crei problematiche comportamentali e sociali viene ritenuto un “costo accettabile” da chi tira le redini.
Si è persa la morale, ancorché relativistica come concetto, inteso come summa di norme aspiranti alla condotta umana che influiscono sulla collettività, mentre l’etica concerne e concerta i fondamenti che permettono di distinguere i comportamenti umani buoni, da quelli cattivi, quindi in una nazione dove l’etica e la morale sono distorte, quello che è sbagliato viene inteso come giusto, ma soprattutto si è creata una massificazione dell’individuo in seno ad un contesto globale, quindi si è perso il concetto di verità oggettiva a favore di quella relazionale., direi, a questo punto “televisiva”, cioè delegando ai mass-media quella parte di informazione che prima era ottenuta con l’incontrarsi e scambiarsi le opinioni con altre persone, magari litigando ma comunque avendo un contraddittorio, una possibilità di assimilazione-scambio che da sempre è alla base delle culture superiori, badate bene, non “Società” ma “Culture”.
La riprova di ciò si ha anche nel linguaggio , noi abbiamo creato gli avverbi come paletti ben distinti all’interno dei quali svolgiamo la nostra esistenza.
Siamo noi stessi che ci mettiamo dei limiti…
Avverbi di luogo, come : lì, là, qui, qua, giù, su, laggiù, davanti, dietro, sopra, sotto, dentro, fuori, altrove, intorno, ci, vi, ecc. stanno e delimitare l’insieme circoscritto dello spazio in cui ci muoviamo, invece: ancora, ora, mai, sempre, prima, dopo, ieri, oggi, domani, subito, presto, frequentemente, spesso…ci identificano come esseri finiti in una dimensione temporale.
Il filosofo non è colui che non dispone di questi limiti quanto chi riesce a spostarli di una spanna più in là, così da avere una visione di insieme più dettagliata.
Tutto ciò perché la nostra mente non concepisce l’infinito, inteso come totale libertà da ogni vincolo, non solo come un’estensione spazio-temporale senza fine, deve costantemente riferirsi a qualcosa di conosciuto, per questo l’ignoto fa paura, poiché ci spaventano i nostri stessi pensieri, non amiamo poi così tanto rimanere soli con noi stessi e con loro .
Ottima Riflessione! Il problema immediato che scaturisce da essa è : Come uscirne?
Nonostante si possa evitare di seguire i comuni mass-media è pressocchè impossibile isolarsi dalle persone “contaminate” da essi. Anche isolandosi il problema non si risolverebbe
proprio perchè la risoluzione di molti problemi non avviene a livello di individuo ma di “rete” considerata come un processore costituito dalla capacità computazionale di ogni individuo
vivente ( e morto ma sempre tramite la conoscenza immagazzinata nel vivente). Per esempio per la realizzazione del Cern di Ginevra non sono stati necessari solo ingegneri e teorici ma anche
la massa che ha supportato il progetto ,volente o nolente, tramite la costruzione fisica ed il supporto economico . Una soluzione potrebbe essere l’isolamento parziale dalla massa grazie
alla formazione di un gruppo di “non contaminati” che si sostengano a vicenda e si pongano come guide della massa. Forse è ciò che è sempre accaduto e che oggi , grazie alla tecnologia ed alla scienza,
viene applicato in modo accentuato. Ovviamente la volonta di un individuo “disconnesso” è quella di creare un suo gruppo od entrare a far parte di uno già esistente se compatibile con la propria etica ma
a questo punto la nostra etica è importante? Fino a che punto possiamo fidarci delle informazioni che abbiamo assimilato essendo vissuti in quest’epoca di manipolazione? Tutto questo ragionamento può portare
ad un relativismo totale e con questo si torna alla paura/limite fisico della nostra mente che , non potendo vagliare tutte le possibilità , ha bisogno di un appiglio alla realtà. E’ il problema dei nostri limiti intrinseci.
Cosa fare quindi? Secondo me bisogna tramite un Pensiero Forte prendere una posizione e seguirla finchè ci porta ad una contraddizione e da lì cambiare.Per farlo bisogna conoscere il più possibile, dando una valutazione di
realtà a tutto ciò che si assimila, e da lì proseguire in questa intricata esistenza.
La “folla” è un’entità, e come tale va studiata, come qualcosa che ha un inizio ed una fine, ed in mezzo un “pensiero dominante”, all’interno di essa confluiscono migliaia di persone pervase da un fremito comune… normalmente distruttivo… e nel farlo subiscono un processo di svuotamento, di disumanizzazione: ”La moltitudine è sempre pronta ad ascoltare l’uomo forte, che sa imporsi ad essi. Gli uomini riuniti in una folla perdono tutta la forza di volontà e si rimette alla persona che possiede la qualità che ad essi manca.”
E’ proprio da qui, da questo splendido pensiero di Le Bon che cominciamo a discutere di quali ne siano i due aspetti antitetici, la individuazione e la deindividuazione.
Lo stato di individuazione mantiene il pieno autocontrollo, delle azioni, dei pensieri e delle pulsioni personali, ed una corretta valutazione delle conseguenze dei comportamenti effettuati; essa garantisce il pieno funzionamento dell’attività psicopatologica dell’individuo e garantisce la presenza dei freni inibitori, (meccanismi psicologici senza i quali l’uomo agirebbe praticamente in maniera istintiva).
Nello stato di deindividuazione nell’uomo si indeboliscono le forze che impedivano l’esecuzione di atti istintivi e nocivi, ed egli diventa capace degli atti più impensabili e meschini. Il controllo dell’azione viene meno, e si genera confusione e caos. Quando è associato ad altri in gruppi di vaste dimensioni, subisce trasformazioni anche impressionanti (Freud infatti dice che “nello stare insieme degli individui riuniti in una massa, tutte le inibizioni individuali scompaiono e tutti gli istinti inumani, crudeli, distruttivi, che nel singolo sonnecchiano quali relitti di tempi primordiali, si ridestano e aspirano al libero soddisfacimento pulsionale”.
In un altro passo della sua trattazione, Freud continua a caratterizzare la situazione psicologica dell’uomo della folla, sostenendo che all’interno di questa è facile notare “la scomparsa della personalità singola cosciente, l’orientarsi di pensieri e sentimenti nelle medesime direzioni, il predominio dell’affettività e dello psichismo inconscio, la tendenza all’attuazione immediata delle intenzioni via via che affiorano”.
Come Le Bon, anche Freud intuisce la capacità della “folla” di fagocitare oltre la corporeità anche la psiche di un soggetto, ed a nulla vale la cultura e l’intelligenza dello stesso, un quanto l’appiattimento delle capacità di discernimento non risparmia anche il più studioso degli uomini.
Ormai è assodato, l’uomo è un animale feroce, distruttivo, che senza regole forti si comporterebbe a suo piacimento, ecco che necessariamente si sono creati paletti religiosi, legislativi, morali entro i quali si muove sentendosi controllato e protetto… ma legato dai lacci della socialità!
L’unico momento in cui l’uomo, anche il civilissimo occidentale si sente di non essere controllato e di poter fare quello che vuole, quando cioè si deresponsabilizza è quando diventa uno di una massa, e questa sensazione si dimostra propedeutica a comportamenti violenti, è come se la compressione della sua natura creata di rigide regole etico-morali esplodesse in quel vagito di “libertà (dalle costrizioni sociali) che, paradossalmente si rivolge ad uno stato di prigionia (nella massa).
Non nego, anzi sostengo entrambe le teorie di LeBon e di Freud, secondo le quali le pulsioni della folla verso il “superiore” che le guida e le anima, siano il frutto di una sorta di ipnosi, di “estasi collettiva” secondo Le Bon oppure, come conclude Freud da una sorta di “Fascinazione morbosa”, va da sé che per gestire una folla necessita una persona estremamente carica di charme, di dialettica, della capacità di infiammare la folle.
Però, nella mia ricerca mi sono imbattuto in un altro aspetto che non è stato preso in considerazione in questo frangente, quello che spinge la gente a radunarsi in masse ordinate non può essere unicamente dovuta alla passione per un leader, deve esserci anche qualcosa di ancestrale, di atavico, un retaggio di quella parte “bestiale” che, oggi come ieri condizione inconsciamente il nostro comportamento.
Ecco che allora tutto si riconduce all’’inconscio collettivo, che secondo Jung, rappresenta un contenitore psichico universale, vale a dire quella parte dell’inconscio umano che è comune a quello di tutti gli altri esseri umani. Esso contiene gli archetipi, cioè le forme o i simboli che si manifestano in tutti i popoli di tutte le culture. Gli archetipi esisterebbero prima dell’esperienza e in questo senso sarebbero istintivi.
Quindi, secondo Freud l’inconscio è un baule che ci viene dato vuoto alla nostra nascita e che viene mano a mano riempito dai frutti delle esperienze negative fatte nell’arco della nostra vita, cosicché la sua teoria psicoanalitica si basa sulla ricerca e sulla standardizzazione di tali episodi, in una ricerca arida dell’anamnesi del paziente e nel susseguente trattamento “Distaccato” del terapeuta.
Per Jung, invece l’inconscio è un baule già pieno di quei concetti che egli chiama “Archetipi” ed è collettivo, in quanto è comune a quello di tutti gli altri esseri umani.
Essendo “parametri condivisi” l’azione del terapeuta diventa personale, egli deve con grave sforzo, trarre da se stesso le esperienze necessarie per risalire alle problematiche del paziente ed esercitarle.
Relativamente alla massificazione delle persone il concetto di inconscio, deve necessariamente, a mio avviso, essere collettivo, visto che, come ampiamente scritto in precedenza, qualunque persona, sia istruita che colta, uomo o donna, sia intelligente che ignorante, si comporta sempre alla stessa maniera, subendo un omogeneo processo di livellamento, indipendentemente anche dalle esperienze accumulate nel corso degli anni.
Quindi non esiste una differenziazione tra i vari tipi di visioni della vita, giusti o sbagliati noi li riteniamo in quanto non vengono percepiti come tali dai soggetti, a volte pare inutile esporre concetti logici e semplice con queste persone, loro li recepiscono come violazione del proprio io e, conseguentemente le rigettano, convincerli è impossibile; in questo gli spin doctor sono stati molto bravi, ma io credo di aver trovato un sistema per far cambiare loro la visione del mondo preimpostato.
Il discorso sulla massa e sulla “trasformazione” da individuo a “nonsochè” non può non affascinare ed , in quanto ancora troppo inesplorato , è tutt’ora più che attuale. In linea generale sono d’accordo con te: la maggior parte delle persone facenti parte di un gruppo , mosse da un leader o da un sentore comune , si muovono e strisciano come amebe verso un obiettivo non tanto ragionato e forse deleterio. Penso però che , all’interno dello stesso gruppo , possano trovarsi persone tanto coraggiose (quanto l’ipotetico leader che infiamma la massa) e con una gran positiva personalità che li porterebbe a distaccarsi dal gruppo e da tutto ciò che rappresenta. Che poi a volte , anche volendo , si ritrovano immischiati in casini pur involontariamente (esempio stupido: sei al centro del gruppo e non riesci ad uscire) , ciò non conta , l’importante è il concetto che voglio esprimere , ed è questo: non penso che la primitiva “forza” di cui parli , inarrestabile e strutturata dall’inconscio collettivo di Jung sia così imbattibile. Il problema vero , secondo me , risiede nella poca personalità della maggior parte delle persone che , oltre a fargli compiere azioni di massa , le porta anche ad avere una vita misera , egoistica e non “personale” da individui. Citando il buon vecchio Signor G. , sempre attuale e grande nelle sue disquisizioni , la massa non è questione di numero. Si può essere massa anche stando da soli , in casa , e la massa fa massa perchè ovviamente più un concetto è “sociale” e più è tendenzialmente apprezzato e ritenuto giusto. Che poi ci sia una certa tendenza a lasciarsi andare in gruppo quello è umanamente normale , la deresponsabilizzazione giova molto a chi non vuole fare scelte nella propria vita o non vuole essere protagonista nell’evoluzione del bene comune nel mondo ma ancora una volta si torna al problema che ho esposto sopra. In definitiva , secondo il mio umile parere , molti individui , anche quando sono tali , ed anche in scelte molto ragionate (discorso opposto al gruppo che , in teoria , si forma molto velocemente e velocemente crea il suo obiettivo e lo compie) , FINTAMENTE scelgono ma in realtà l’approccio alla vita sbagliato , lo “star sicuri” , il sentirsi nella “giusta” parte della socialità li porta infine ad avere un personale approccio al conformismo. Il metodo , quasi sempre , è ciò che subdolamente ed indirettamente porta a vivere una vita sbagliata , anche per la persona più geniale , e penso che in questo discorso c’entri a pieno… Se poi l’inconscio collettivo di Jung equivalga in qualche modo al metodo di vita , allora non posso che darti ragione. Saluti
In quanto ignorante sull’argomento però potrei facilmente sbagliarmi quindi , se hai tempo e voglia , ti chiedo gentilmente di consigliarmi qualche libro sull’argomento che riporti magari esperimenti “scientifici” e mi illumini ancor meglio sulla massa o più in generale sui moventi della volontà umana così forse potremmo discutere meglio… Grazie! Saluti-